giovedì 6 aprile 2023

CALA IL POTERE D’ACQUISTO DELLE FAMIGLIE. CHISSÀ PERCHÉ?

 


Nel rapporto dell’Istat, riguardante l’ultimo trimestre del 2022, emerge un quadro in cui risulta evidente, ancora una volta, che il potere d’acquisto delle famiglie scende, mentre salgono i profitti delle imprese.

Il reddito delle famiglie è salito dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, ma c’è un brusco arretramento del potere d’acquisto delle famiglie: -3,7%. Il problema principale sta nella forbice tra livelli salariali da un lato e dinamica dei prezzi dall’altro, in quanto l’inflazione relativa ai beni essenziali rimane inchiodata al 12,7%.

Insomma prezzi alti, redditi che ristagnano, risparmi che crollano. Questo significa che i lavoratori e le loro famiglie sono costretti a spendere quasi tutto il proprio reddito per l’accesso ai beni essenziali ed ai servizi. E se non ce la fanno non rimane altro che indebitarsi per mangiare, vestirsi e mandare i figli a scuola.

Ma in questo quadro c’è anche chi sorride, cioè le imprese. Il profitto delle società non finanziarie, infatti, è aumentato dell’1,9%, portandosi al 44,8%. E mentre i profitti crescono, gli investimenti diminuiscono. Il tasso di investimento è diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, nonostante tutti gli incentivi e gli sgravi decisi dalla politica degli ultimi anni a favore delle imprese.

Oltre a questa situazione di difficoltà vissuta soprattutto dei ceti popolari è sempre più evidente lo scollamento tra paese reale e politiche pubbliche.

In altre parole è ancora dominante l’idea che se si asseconda l’egoismo degli imprenditori si farà il bene di tutta la società. Ma ad aumentare sono stati solo i loro profitti. Non è aumentato il lavoro stabile, non sono cresciuti né i salari, né gli investimenti.

Bisognerebbe puntare su politiche redistributive, ma il governo attuale, come quelli precedenti, è sordo da questo orecchio, in assoluta contraddizione, tra l’altro, rispetto ai principi della nostra Costituzione.

L’alternativa c’è e sta nella proposta del Documento Umanista: “Il profitto non destinato ad essere reinvestito nell’azienda, non diretto alla sua espansione o diversificazione, prende la via della speculazione finanziaria. E la stessa via della speculazione finanziaria la prende il profitto che non crea nuovi posti di lavoro. Di conseguenza, la lotta dei lavoratori deve obbligare il capitale a raggiungere la sua massima resa produttiva. Ma questo non potrà diventare realtà senza una compartecipazione nella gestione e nella direzione dell’azienda”.