Nel
rapporto dell’Istat, riguardante l’ultimo trimestre del 2022, emerge un quadro
in cui risulta evidente, ancora una volta, che il potere d’acquisto delle
famiglie scende, mentre salgono i profitti delle imprese.
Il
reddito delle famiglie è salito dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, ma
c’è un brusco arretramento del potere d’acquisto delle famiglie: -3,7%. Il
problema principale sta nella forbice tra livelli salariali da un lato e
dinamica dei prezzi dall’altro, in quanto l’inflazione relativa ai beni essenziali
rimane inchiodata al 12,7%.
Insomma
prezzi alti, redditi che ristagnano, risparmi che crollano. Questo significa
che i lavoratori e le loro famiglie sono costretti a spendere quasi tutto il
proprio reddito per l’accesso ai beni essenziali ed ai servizi. E se non ce la
fanno non rimane altro che indebitarsi per mangiare, vestirsi e mandare i figli
a scuola.
Ma in
questo quadro c’è anche chi sorride, cioè le imprese. Il profitto delle società
non finanziarie, infatti, è aumentato dell’1,9%, portandosi al 44,8%. E mentre
i profitti crescono, gli investimenti diminuiscono. Il tasso di investimento è
diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, nonostante tutti gli
incentivi e gli sgravi decisi dalla politica degli ultimi anni a favore delle
imprese.
Oltre
a questa situazione di difficoltà vissuta soprattutto dei ceti popolari è
sempre più evidente lo scollamento tra paese reale e politiche pubbliche.
In
altre parole è ancora dominante l’idea che se si asseconda l’egoismo degli
imprenditori si farà il bene di tutta la società. Ma ad aumentare sono stati
solo i loro profitti. Non è aumentato il lavoro stabile, non sono cresciuti né
i salari, né gli investimenti.
Bisognerebbe
puntare su politiche redistributive, ma il governo attuale, come quelli
precedenti, è sordo da questo orecchio, in assoluta contraddizione, tra l’altro,
rispetto ai principi della nostra Costituzione.
L’alternativa
c’è e sta nella proposta del Documento Umanista: “Il profitto non destinato ad
essere reinvestito nell’azienda, non diretto alla sua espansione o
diversificazione, prende la via della speculazione finanziaria. E la
stessa via della speculazione finanziaria la prende il profitto che
non crea nuovi posti di lavoro. Di conseguenza, la lotta dei lavoratori
deve obbligare il capitale a raggiungere la sua massima resa
produttiva. Ma questo non potrà diventare realtà senza una compartecipazione
nella gestione e nella direzione dell’azienda”.