Il titolo è ovviamente provocatorio e chi scrive non vuole procedere con lo scandagliare i temi che possono essere considerati come configgenti o “divisivi” nell’ambito della dialettica e del confronto politico. «Senza sinistra» è una provocazione che rientra nell’affermazione «alle politiche non ci sarà una lista di sinistra», che pure in realtà c’è.
Procediamo per gradi.
Dire «senza sinistra» è affermare come, ancora una volta, in una precisa area politica, si sia guardato alla circostanzialità del momento elettorale senza delineare una proposta di lungo periodo: così facendo le forze vengono sempre meno anziché confluire all’interno di un progetto comune, vengono messe a servizio di un obiettivo molto difficile e a cui molto probabilmente non farà seguito un risultato.
Per dirla con le parole di Olivier Turquet, coordinatore italiano di «Pressenza», in un editoriale dedicato alle elezioni del 2014: «A queste elezioni non si presenta una sigla che sogno da tempo: la Sinistra Umanista Nonviolenta; la sigla suona bene SUN che fa pensare al sole in inglese. Perché non servono molte parole (recita il Documento Umanista) per definire le destre come strumenti dell’antiumanesimo; per cui possiamo essere critici con quel che ha fatto la sinistra storica ma siamo comunque di sinistra e ci interroghiamo sugli errori storici della sinistra che sono, a mio avviso, sostanzialmente due: non essere stata chiaramente umanista e nonviolenta. La preoccupazione per l’Essere Umano rispetto alle infinite dittature della razza, della nazionalità, del genere, della preferenza sessuale, della condizione economica, del suo pensiero ecc e la metodologia di cambiamento basata sulla nonviolenza attiva sono i due elementi centrali che hanno messo in crisi l’azione politica della sinistra e che vediamo ancora ben presenti, per esempio, nei settarismi che ne hanno portato alla polverizzazione».
Sforzarsi di trovare punti di convergenza fra associazioni, partiti e reti sociali non è facile, è un lavoro (e un lavorìo) che va fatto attentamente e senza infingimenti di sorta, né tantomeno con interessi personali o di parte che possano minare il progetto stesso.
L’esempio del Cile e del Fronte Ampio (Frente Amplio) è un esempio a cui tendere ma anche a cui lavorare nel corso degli anni: l’imminenza elettorale appiattisce e distoglie, storce e ottunde il dibattito e l’incontro delle culture che vogliono convergere per un comune fine.
I punti che legano il Partito Umanista a Potere al Popolo, almeno per quel che riguarda il breve periodo, sono anche più d’uno e possono superare in gran numero le divergenze, tuttavia è sulla strategia del lungo periodo che le differenze si acuiscono e le questioni non sono proprio secondarie: una per tutte è la posizione riguardo l’UE (e i temi che essa porta con sé).
UE sì/UE no
Il problema va affrontato seriamente e non rappresenta una questione inutile o di second’ordine: è il problema dei problemi, dibattito che si dovrebbe accendere e sintesi che si dovrebbe trarre. All’interno di Potere al Popolo (abbreviata maledettamente PaP, PotPop e via dicendo) la questione UE non è trattata con l’attenzione che merita, anzi. Recentemente si incontreranno al Parlamento Europeo la Candidata Presidente del Consiglio dei Ministri di Potere al Popolo e l’europarlamentare di Rifondazione, Eleonora Forenza, col fine di presentare il progetto elettorale al GUE (gruppo parlamentare della sinistra radicale). Uno dei temi forti dell’iniziativa è il riferimento alle esperienze della France Insoumise e Izquierda Unida/Podemos, con riferimento al progetto della Sinistra Europea.
La confusione è evidente e mettere insieme progetti chiaramente “euro-critici” come la France Insoumise assieme alla Sinistra Europea e al GUE, chiaramente pro-UE e convinti della sua riformabilità dall’interno, è sbagliare ideologicamente.
In una fase come quella attuale, in cui si fa di tutto per bollare come “ideologico” qualsiasi dibattito e affibbiare un carattere negativo a questo termine, è bene riprendere e valorizzare il termine ideologia: altro non è che la propria visione del mondo e tutto quel che ne consegue.
In una recente intervista rilasciata all’agenzia internazionale «Pressenza», il segretario nazionale Tony Manigrasso ha dichiarato come il PU sia «contro questa Unione Europea a base neoliberista e crediamo che nella gabbia in cui ci ritroviamo sia praticamente impossibile, per via dei vincoli attuali, cambiare l’Unione Europea dall’interno; se davvero il M5S proponesse un referendum impositivo sull’ItalExit, cosa che tra l’altro dubito che lo faccia veramente, non possiamo che essere favorevoli a votare per il SI all’ItalExit».
Contrapporre «l’Europa dei popoli», ideale e utopica nella fase attuale, all’Europa del Capitale finanziario è una necessità sempre più impellente da analizzare e da comprendere a 360°: dirsi a favore dell’Europa dei popoli significa porsi contro i trattati, la dittatura del Capitale, la presenza e l’ingerenza della NATO, l’autodeterminazione dei popoli che sia reale (e non fittizia e strumentale per pagare qualche tassa in meno come accade in Lombardia o in Veneto).
È chiaro, dunque, che l’ambiguità sull’UE non può essere accantonata perché “ci sono affari più importanti da sbrigare”, come la presentazione della lista.
Il “lungo periodo” è l’unico elemento che possa coadiuvare la formazione di una vera organicità, di una vera concentrazione a sinistra - che sia anticapitalista e non semplicemente antiliberista - che possa porsi l’obiettivo di una unione, pur nelle divergenze dei diversi attori che la andranno a comporre, con un unico obiettivo: essere forza reale. Una forza reale che sappia con certezza di essere minoranza ma non minoritaria: trattare i temi dell’anticapitalismo, della critica all’UE (senza agitare scalpi o slogan vuoti), del pacifismo e dell’antimperialismo portano con sé la consapevolezza d’essere minoranza all’interno del panorama politico italiano.
Il minoritarismo, infatti, è altra cosa: è la presa d’atto di voler parlare ad una piccola cerchia di persone, o anche settarismo come scriveva quattro anni fa Olivier Turquet. La minoranza, attraverso un lavoro (torniamo al precedente punto, evidentemente) duraturo nel corso degli anni, può mutare il suo essere: diventare “maggioranza” o, nel “peggiore dei casi”, ingrossare le sue fila e creare massa critica, coscienza civica e formare uomini e donne, ragazze e ragazzi, cittadine e cittadini in persone che avranno acquisito gli elementi necessari per la sopravvivenza in un sistema antiumano come quello in cui viviamo.
Il compito del PU
Prendere coscienza della minoranza e non del minoritarismo è un passo necessario per il PU in Italia, tuttavia questo non significa mero “settarismo” a cui si deve rispondere con maggiore chiusura. Molti movimenti, rappresentati in Italia da sezioni organizzate in partiti e associazioni, si trovano di fronte allo stesso dilemma del PU: dare indicazione di voto, o non dare indicazione di voto; appoggiare o no questa o quella lista che si sta presentando alle elezioni politiche del 4 marzo?
Il compito del PU, in questa fase di transizione, è cercare di essere il trait d’union fra le associazioni, le reti sociali e i partiti che non ce la faranno ad essere presenti né sulla scheda elettorale nazionale, né su quella per le elezioni Regionali.
Un’unione di minoranze? No, piuttosto un dialogo fra pari: fra Partito Pirata, i “delusi del Brancaccio”, ATTAC Italia, Sbilanciamoci e tutta una pletora di elettori che non avrà più rappresentanza il giorno dopo aver votato e il giorno prima in cui s’è deciso per l’appoggio ad una lista come ultima spiaggia. Il PU può “essere partito” contro un “avere partito” generico e inconsistente: essere partito significa assumersi il compito di essere il collante necessario, come detto prima, e iniziare un percorso adesso per le prossime elezioni: non quelle del 4 marzo, ma per le prossime amministrative e le prossime elezioni nazionali. Porre la questione del 99% contro l’1%: passata di moda per qualche media nazionale ma non per gli umanisti, gli anticapitalisti, i pacifisti, per la sinistra e iniziare un percorso di condivisione e collaborazione arrivando - perché no? - alla formazione di un “governo ombra sociale”.
È uno gnommero di concause, come diceva Gadda: un gomitolo intricato fino all’inverosimile, ma necessario da sbrogliare.
Partito Umanista Roma
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