Ma
quale dignità? Il decreto proposto dal governo e licenziato dalla commissione
finanze e lavoro non ha nemmeno lontanamente le caratteristiche adeguate per
potersi meritare di essere affiancato da un termine così importante come “dignità”.
Sulla
situazione attuale l’analisi umanista è molto chiara. Dal Documento del
Movimento Umanista si evince che i fenomeni di razzismo e fanatismo che si
stanno verificando sempre più numerosi sono l’irrazionale reazione ad un’altra
irrazionalità: il tentativo da parte del grande capitale di disciplinare la
società per far fronte al caos che esso stesso ha determinato.
Il
neo-irrazionalismo che sembra stia prendendo il sopravvento sta, inoltre,
riducendo il margine d’azione delle forze progressiste. Come si può invertire
questa tendenza?
Per
gli umanisti è necessario rimettere al centro della discussione in seno al
popolo alcuni temi fondamentali, invece di far finta di opporsi all’irrazionalismo
dilagante con appelli alla moderazione che hanno tutto il sapore di un ennesimo
invito all’adattamento decrescente ad una democrazia formale che fa solo il gioco
del grande capitale.
Quali
sono questi temi fondamentali? Sono quelli che riguardano il rapporto tra i
fattori di produzione, cioè tra il lavoro e il capitale. Di quale dignità va
blaterando il governo, se, in piena continuità con i governi precedenti, non si
mette in discussione la regola ancora vigente su cui è basato il rapporto tra i
suddetti fattori di produzione: il profitto al capitale e il salario al
lavoratore.
Dov’è
la dignità se non si mette in discussione questa assurda regola che impone ai
lavoratori di mettere a rischio il proprio presente e il proprio futuro nei
flussi e riflussi della disoccupazione e delle crisi finanziarie, senza che
abbiano voce in capitolo nelle decisioni e nella gestione dell’azienda per cui
lavorano?
Di
quale dignità si sta parlando se non si dichiara apertamente che i rischi che
corrono i lavoratori sono la conseguenza del fatto che parti cospicue del
profitto prendono la via della speculazione finanziaria invece della via del
reinvestimento nell’azienda e della creazione di nuovi posti di lavoro?
Ecco
quindi che emerge il vero significato della parola “dignità”. Non c’è dignità
per i lavoratori se non si verifica finalmente la possibilità per loro di
compartecipare nella gestione e nella direzione dell’azienda, in modo tale da
evitare licenziamenti e chiusure fraudolente delle aziende, fuga di capitali e
deviazioni del profitto verso la speculazione.
Sulla
base di queste considerazioni, i provvedimenti che potrebbero aprire la strada
al vero rispetto della dignità di tutti i lavoratori sono le seguenti proposte
umaniste:
-
una serie di riforme economiche che consentano il PASSAGGIO GRADUALE DAL LAVORO
COME PRODUZIONE (che mira solo a una crescita esponenziale senza ragione e
senza perché) AL LAVORO COME SERVIZIO, dove la produzione non è finalizzata
solo ai beni e alle merci, ma è anche erogazione di tempo, di cura, di
relazione.
Inoltre,
di fronte allo scenario attuale, dove le grandi company fagocitano le piccole
aziende, dove il “grande capitale”, dopo aver privatizzato gli enti, si
sostituisce allo stato come fornitore di servizi mettendo la gente in una
condizione di precarietà, proponiamo:
-
LEGGE SULLA PROPRIETÀ DEI LAVORATORI NELL’IMPRESA, per consentire l'accesso dei
lavoratori alla proprietà dell'azienda per prendere parte alle decisioni.
-
LEGGE SULLA SPECULAZIONE, per riportare i capitali nelle aziende invece di
vederli finire nella speculazione.