sabato 2 aprile 2016
mercoledì 16 luglio 2014
VITALIZI AGLI EX-CONSIGLIERI DELLA REGIONE LAZIO: TUTTO RIMANE UGUALE
Ancora
una volta non ce l’hanno fatta. La maggioranza dei consiglieri della regione
Lazio non ce l’ha fatta a rinunciare ai vitalizi così come sono previsti, cioè a
un assegno a vita al compimento dei 50 anni di età.
Non
è bastato lo scandalo che ha coinvolto la giunta precedente e che ha costretto
alle dimissioni Renata Polverini.
Non
basta nemmeno la consapevolezza del fatto che ormai in Italia si contano 6
milioni di poveri, con un aumento del loro numero del 25% nel giro di un solo
anno.
Che
cosa deve succedere ancora per convincere politici ed ex-politici che certi
privilegi non sono più giustificati? Probabilmente sono talmente dipendenti dal
tenore di vita che sono riusciti a conquistare approdando al mondo della
politica che ormai solo un serio programma di disintossicazione potrebbe
riportare queste persone a quel minimo livello di lucidità che permetterebbe
loro di rendersi finalmente conto della realtà che li circonda.
Solo
per la regione Lazio si contano ben 267 ex-consiglieri che riceverebbero,
raggiunta la “ragguardevole” età di 50 anni, una pensione talmente pesante da
costare alle casse della regione, e quindi di tutti i cittadini laziali, ben 20
milioni di euro all’anno. In media quasi 75mila euro all’anno per ogni
ex-consigliere, più di 6mila euro al mese, mentre milioni di “veri” pensionati devono
aspettare, dopo una vita di lavoro, un’età ben maggiore per ricevere pensioni a
dir poco ridicole.
Se
solo si pensa che a fronte di tanti “comuni cittadini” che devono lavorare
quarant’anni e più per andare in pensione ci sono alcune centinaia di
privilegiati a cui basta aver scaldato un seggio al consiglio regionale per
ricevere pensioni che al confronto possiamo ben definire “d’oro”, l’indignazione
è inevitabile.
La
proposta a questo punto può essere solo una: non possono più decidere gli
stessi consiglieri sul loro trattamento economico. Non sono in grado di
prendere le giuste distanze dai propri interessi a favore del bene comune, così
come dovrebbe essere normale per chi si occupa di politica.
A
questo punto solo i cittadini, direttamente, hanno il diritto di decidere sui
compensi e sugli eventuali vitalizi che dovrebbero ricevere coloro che gli
stessi cittadini hanno eletto a loro rappresentanti. Da questo punto di vista
tutti gli elettori sono, per coloro che dovrebbero rappresentarli, i legittimi datori
di lavoro.
Oltre
a guadagnarne le casse delle pubbliche istituzioni, ne guadagnerebbe anche la
nostra democrazia. Perché non c’è democrazia se non c’è giustizia sociale e non
c’è giustizia sociale se non c’è una reale democrazia.
martedì 22 aprile 2014
IL FUTURO NON È A NUMERO CHIUSO
Il Partito Umanista solidarizza con le
organizzazioni studentesche che a Roma stanno protestando contro il numero
chiuso all’Università.
È dagli anni ’80 che gradualmente è in
atto l’attacco al libero accesso allo studio nelle università, in piena
contraddizione con l’articolo 34 della Costituzione italiana, secondo cui tutti
“i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere
i gradi più alti degli studi”.
Se, secondo logiche che nel corso degli
anni si sono rivelate totalmente assurde, si fissa in anticipo il numero delle
persone che può accedere agli studi universitari, ciò ha come risultato solo l’esclusione
di migliaia di giovani che nel corso degli studi potrebbero rivelarsi “capaci e
meritevoli” di laurearsi in ciò che desiderano.
Inoltre, in piena continuità con i
governi precedenti, anche quello attuale, nuovo solo a parole, fa scendere la
scure dei tagli sull’istruzione, tagliando il fondo di finanziamento ordinario per
l’università.
Non ci sono vie diverse: se si vuole
rispettare il libero accesso all’istruzione fino ai più alti gradi di studi, il
numero chiuso va abolito e subito. Perché il futuro non aspetta.
Roma, 22 aprile 2014
Partito Umanista
Roma
martedì 1 aprile 2014
venerdì 7 marzo 2014
UN UOMO SI É SUICIDATO AD ALATRI. UN ESSERE UMANO. IL SILENZIO DELLA POLITICA.
Un uomo di 42 anni, restauratore di
mobili, si è tolto la vita ad Alatri, nel Frusinate, suicidandosi in un
casolare di famiglia. L'uomo era sposato e aveva una figlia di 16 anni.
Era in difficoltà col suo lavoro, ma non
sappiamo, e forse non lo sapremo mai, se si è impiccato per questo motivo,
oppure per altre ragioni.
Certo è che in questi anni di crisi
economica i suicidi che, almeno apparentemente, sembrano motivati dalle difficoltà
conseguenti a tale crisi si sono moltiplicati.
Nonostante ciò, la politica sembra
disinteressarsene. Come se fosse un argomento tabù, forse perché troppo scomodo
o compromettente.
Noi,
invece, vogliamo parlarne. Anzi in quanto umanisti, siccome il punto di
partenza delle nostre idee non è dato da affermazioni generali, ma dall’esame
della specificità della vita umana, dell’esistenza, del vissuto personale, crediamo
che la politica non dovrebbe rifiutarsi di affrontare temi come questo.
Risulta infatti evidente che una persona
che decide di porre fine alla propria vita si trova, per ragioni economiche o
sociali o semplicemente personali, in una situazione limite.
Quante sono le persone che lottano per
sopravvivere e non sanno se domani potranno sconfiggere la fame, le malattie,
l’emarginazione, la sofferenza? Molti, troppi milioni di esseri umani.
Dobbiamo dirlo: nessuno di noi ha scelto
la situazione in cui è nato. Una situazione situata in un determinato momento
storico e fatta di uno specifico ambiente naturale e sociale. Tutte cose che
nessuno ha scelto quando è nato.
Ma dobbiamo dire anche questo: che da un
certo momento della nostra vita in poi abbiamo cominciato a scegliere. Prima di
tutto abbiamo cominciato a poter disporre anche della libertà di suicidarci
oppure di continuare a vivere e di pensare alle condizioni in cui vorremmo
continuare a vivere.
Anzi, possiamo senz’altro dire che la
libertà di scelta diventa realtà proprio nel momento in cui ci interroghiamo in tal senso: voglio vivere?
Se sì, in quali condizioni vorrei farlo?
Ecco che allora compare l’aspetto
politico. Perché nel momento in cui scelgo di vivere devo anche scegliere in
che condizioni. Certo, posso anche scegliere di non pormi queste domande: anche
in questo caso non è messa in discussione la libertà di scelta, perché comunque
sono libero di scegliere di non scegliere.
Questa libertà ci permette di rifiutare qualsiasi
forma politica, organizzazione sociale o stile di vita che si instauri senza che
si rendano espliciti i benefici che può trarne l’essere umano. Gran parte della
morale, delle leggi e delle politiche oggi dominanti si sono instaurate senza
esplicitare alcunché, probabilmente perché sono veramente pochi i benefici che
l’essere umano potrebbe trarre da esse.
In quanto forma di espressione
dell’agire umano, la politica dovrebbe avere questa priorità: contribuire a
ricordare sempre che siamo liberi di scegliere, invece di continuare, come
spesso fa oggi, ad agire come se questa libertà non ci fosse, contribuendo a
propagandare l’idea che l’attuale status quo è inevitabile e che non può essere
cambiato. Ecco perché, secondo noi, il silenzio della politica non è giustificabile.
L’uomo di Alatri, suicidandosi, ha
dimostrato che in ogni momento siamo liberi di scegliere se continuare a vivere
oppure no. Il problema è: era consapevole di questa libertà di scelta? Oppure
era convinto che lo status quo era inevitabile e che non poteva essere cambiato?
Roma, 07.03.2014
Partito Umanista
Roma
Etichette:
libertà di scelta,
suicidio
Ubicazione:
Italia
giovedì 6 marzo 2014
DEFICIT DI MILIONI ALL’UMBERTO I: E ANCORA SI TAGLIA IL SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO.
I
cittadini romani e laziali stanno subendo, da alcuni anni a questa parte, un
grave attacco da parte delle istituzioni locali e nazionali attraverso tagli di
spesa alla sanità pubblica, tali da mettere seriamente in discussione ciò che
viene considerata un’assoluta priorità dalla stessa Costituzione italiana: la
tutela della salute di tutti i cittadini.
I
suddetti tagli sono stati sempre ufficialmente considerati come assolutamente
necessari se si voleva garantire il servizio di sanità pubblica, visti i debiti
accumulati nel corso degli anni.
Sta
di fatto però, che mentre si tagliava di qua e di là, la borsa dei fondi per la
sanità pubblica continuava a perdere soldi da buchi che nessuno ha mai voluto
vedere.
Così
è successo all’ospedale universitario più grande d’Europa, l’Umberto I di Roma,
secondo la relazione che l’attuale direttore generale dell’azienda ospedaliera
ha inviato alla Corte dei conti.
Secondo
questo dossier dal 1999 a oggi, attraverso promozioni a qualifiche superiori senza
concorso e senza copertura finanziaria, gare d’appalto mai eseguite, proroghe
di contratti di affidamento dei servizi senza alcun controllo e acquisti
milionari di farmaci e protesi senza bandi, si è prodotto un enorme danno
erariale, con debiti e deficit di centinaia di milioni di euro difficilmente
gestibili.
Centinaia
di milioni che potevano essere spesi per migliorare il servizio sanitario
pubblico e che invece sono stati rubati dai famelici interessi privati di una
minoranza che non si sazia mai. Soldi che potevano contribuire ad evitare la
chiusura di interi reparti ospedalieri, come ancora sta succedendo, per
esempio, in un altro grande ospedale di Roma, il San Filippo Neri, dove 100
pazienti reumatici, in piena terapia in corso, dovranno curarsi in un altro
centro per la chiusura del reparto che li ospitava, con un alto rischio di
ripresa della malattia grave di cui soffrono.
Finiamola,
quindi, con la favola che da troppi anni ci stanno raccontando. La favola
secondo cui non si può garantire a tutti i cittadini un servizio sanitario
gratuito e di buona qualità perché non ci sono i soldi. Non è vero. Non ci
abbiamo mai creduto e, visti i fatti, non ci crederemo mai.
La
verità è chiara e semplice: la stragrande maggioranza dei cittadini paga le
tasse e queste tasse sono più che sufficienti per garantire ciò che è previsto
dalla Costituzione: una sanità, e anche un’istruzione, per tutti, senza
discriminazioni di tipo economico, e di ottima qualità.
Se
non è questo che succede, vuol dire che altri interessi, di piccole minoranze,
stanno succhiando le risorse, a discapito delle esigenze di tutti.
Roma,
06.03.2014
Partito Umanista
Roma
mercoledì 13 novembre 2013
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